Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene
La prima cosa da chiedersi è: Che cosa è il male? Certamente lo si può dipingere in molti modi, ma ciò che non bisogna fare è scambiare la testa con la coda. Mi spiego. Il male, come tutte le opere, hanno un capo, cioè, un ispiratore, e a seguire, degli adepti che faranno ciò che il loro capo suggerisce.
Questo si deduce dalle parole di Gesù, quando, parlando ai Giudei che gli avevano creduto, disse:
Così, mentre osserviamo la manifestazione del peccato e cerchiamo di arginarne gli effetti, è possibile che non ci rendiamo conto che ha molte teste dalle cui bocche esce di ogni cosa. Detto ciò, è bene ricordare che l’uomo ha in se la capacità di trasformare il proprio modo di vivere, adattandolo alle varie esigenze che incontrerà. Le generazioni cambiano e passano via, ma la natura umana rimane sempre la stessa. Ciò che una volta era disonorevole, oggi non lo è più.
Da qui, il messaggio di Gesù a Nicodemo: Chi non è nato di nuovo non può vedere il regno dei cieli. Perché disse Gesù queste cose? Perché l’uomo vecchio non può rinascere, essendo destinato a tornare nella polvere da cui è stato tratto. Per quanto l’uomo vecchio cerchi di adattarsi alle sopravvenute esigenze, mai cambierà nella natura. Ciò che può fare, invece, è cedere il passo ad una nuova creatura che, in coloro che hanno creduto nel nome di Gesù, è nata da Dio, cioè fa parte di una nuova creazione. La nuova creazione non può peccare, e la vecchia, nelle misura in cui la nuova crescerà, peccherà sempre meno.
Odiare il male è impossibile se non ci si attiene fermamente al bene, ovvero, se non si porge l’orecchio per udire la sua parola (Voce), il suo parlare. Odiare il male diventa possibile solo se udiamo la sua voce e lo seguiamo da vicino, perché Lui che odia il male, ci fortificherà, se accetteremo il suo giogo, e potremo fare altrettanto. Per tanto, troppo tempo, abbiamo avuto come maestro il principe di questo mondo; odiare il male vuol dire odiare ciò che gli appartiene, e la sola strada che dovremmo percorrere è quella che ha percorso per noi il Figliuolo dell’uomo. Lui, disse un giorno: “Il principe di questo mondo viene a me, ma in me non c’è nulla di suo” (Giovanni 14.30).
Sono solo spunti, pensieri che hanno bisogno di trovare il loro giusto equilibrio nella nostra vita.
Veniamo ora più vicino al tema, e lo faremo prendendo esempio sempre da Gesù, al quale siamo chiamati di assomigliare. Come tutti noi sappiamo, dopo il battesimo, Gesù fu sospinto dalla Spirito nel deserto per essere tentato, ma la tentazione non venne subito; essa venne quando l’uomo Gesù ebbe fame. Riflettere!
Allora il diavolo si presentò e gli disse: Se tu sei figlio di Dio, di che queste pietre divengano pane. Aveva digiunato per quaranta giorni e quaranta notti, nel deserto, quindi la sua fame era più che legittima. Mangiare è un bisogno fondamentale per il corpo, ma Lui rispose:
Ciò che avviene in questi casi è che la nuova creatura non cresce nella conoscenza di Gesù, uomo, ma cresce nella dottrina della conoscenza di Gesù, ovvero, si circonda di spiritualità che non hanno nulla a che vedere con il cielo di Dio. L’uomo, disse Gesù, non vive di pane solo, cioè, non ha solo bisogni terreni, intellettuali, esoterici, ma ha bisogni che solo il cielo può soddisfare, e a poco serve la religiosità, perché essa è sovente un male oscuro e profondo, che allontana l’uomo da Dio. Meglio aver fame che nutrirsi di ciò che non ci è dato dal cielo, in una relazione diretta con il Padre celeste, tramite Gesù, il figliuolo dell’Uomo.
Ovviamente è solo una sintesi ma, male non sarebbe approfondire il tema.
Nella seconda tentazione, il diavolo lo trasportò nella santa città, e lo pose sopra l’orlo del tetto del tempio e gli disse:
La verità è che ogni gloria appartiene a Dio, e a Lui deve andare tutta la nostra adorazione. Gesù sapeva benissimo quale era il suo compito e quali i confini dell’opera che gli era stata affidata. Il Suo compito era quello di riscattare il suo popolo, la sua vigna e riportarla a suo Padre.
Non c’è alcun bene nell’uscire dagli steccati, dai limiti che sono stati posti da uno stesso Pastore, dice Ecclesiaste 12.13. Ognuno dovrebbe essere ciò che il Signore vuole, e stare nei confini posti dal Signore, perchè fuori da quei limiti ogni cosa è peccato.
Così, Gesù gli rispose:
Paolo, scrivendo a Timoteo, lo scongiura così:
Chiudo questa parte con il lamento del Signore:
Un popolo che sempre ascolta e mai perviene alla conoscenza della verità, è certamente un popolo che vive nel peccato della insubordinazione a Dio. Può un tale popolo odiare il male?
La terza tentazione che Gesù dovette vincere, fu la più perniciosa, perché il diavolo lo portò su di un monte altissimo e da li gli mostrò tutti i regni e le glorie di questo mondo, poi gli disse:
Quante cose offre il principe di questo mondo a coloro che camminano verso il cielo per distoglierli dall’obiettivo? Noi, forse pensiamo a chissà quali cose, ma in realtà è ciò che ha distratto Adamo e Eva, cioè il desiderio, l’ambizione di essere indipendenti da Dio, essere dio a se stessi. Che fa un dio se non cercare in tutti i modi di dissipare ogni altra autorità sopra di lui? Ora, non esiste la totale insubordinazione a Dio, ma solo una provvisoria vittoria che si tradurrà in una cocente sconfitta il giorno in cui Gesù ritornerà per prendere definitivamente possesso del suo regno. Beato è chi non distoglie lo sguardo da Lui e lo ama davvero con tutto il proprio cuore. Tutto ciò è per dire che in fondo, cercare di cambiare il vestito non equivale a cambiare il cuore. Chi può fare ciò è solo il Signore se ascolteremo la sua parola che ci renderà liberi dal peccato. Il perdono non è libertà dal peccato. La libertà dal peccato, cioè l’odio per il peccato costa un prezzo di rinuncia ai nostri desideri carnali, alle nostre vanità. Ciò è possibile se persevereremo nell’ascoltare Gesù, la Parola di Dio fatta carne per noi. (Giovanni 6.51). Solo la grazia sua unitamente alla fede possono operare l’odio per il peccato. Non esiste la possibilità di vincere il male se non operiamo il bene insieme al Figliuolo dell’uomo, seguendo l’immagine del giogo, così descritto in Matteo 11.29-30.
Rimane ovvio che non va fatto ciò che è vietato dalla legge di Dio. Ciò che spesso viene evocato come legge di Dio è sempre il non fare; così facendo riconosciamo ciò che è male. Mentre la legge di Dio ordina di amare il prossimo come se stessi, ciò che rimane in ombra è la dimensione del “come se stessi”.
Una creatura che pecca, come potrà amare il prossimo come se stesso? Se pecca è perché non si ama.
Una creatura che non infrange la legge, nel senso che non commette quel genere di peccato, sa cosa vuol dire amare se stesso?
Le scritture ci vengono in aiuto proprio in questo, quando Gesù evidenzia il comportamento del Fariseo che andava dicendo:
Per aborrire il male, occorre conoscerlo, e dopo che lo avremo conosciuto, è necessario invocare il Signore affinchè ci liberi da quella servitù. Questo ha fatto il salmista, quando alla chiusa del Salmo 139 dice:
Uscendo fuori da questo tema, occorre riguardare a Cristo che è capo e compitore della nostra fede, per il quale abbiamo vittoria sul male se continueremo ad ascoltare la Sua voce. Se in Adamo siamo stati sottoposti a vanità, in Cristo siamo stati chiamati per non peccare più. Non peccavano coloro che dicevano di essere ligi alla legge? Peccavano ma erano felici perché pensavano di osservare la legge, avendole dato il colore da loro preferito. Se un pittore venisse a sapere che il suo quadro è stato stravolto nei colori originali, anche se porta il suo nome lo rinnegherà di certo e dirà: “Non mi appartiene, non è mio, non l’ho fatto io”. La chiamavano la Legge di Mosè, ma in realtà facevano quello che volevano.
Ci sono certamente tanti modi per sentirsi gratificati, ma quando ci troviamo davanti a Signore, proviamo a verificare qual fosse almeno la sensazione che ebbero i discepoli, quando Gesù disse: “Uno di voi mi tradirà!”. Loro risposero ad uno ad uno:
Ciò detto senza pretese, perché mi rendo conto di quante implicazioni siano sottostanti a quanto esposto.